Storia deontologia infermieristica
È il 15 febbraio del 1959: il Comitato centrale della Federazione Ipasvi comincia a discutere della necessità di mettere a punto un Codice deontologico infermieristico, che indichi le coordinate etiche in relazione alle quali operano le appartenenti alla professione. Il primo Codice deontologico delle infermiere italiane sarà pronto l’anno successivo, nel 1960. Una conquista importante che rappresenta un passo avanti nella costruzione dell’identità professionale, soprattutto nel rapporto con le altre professioni sanitarie.
Ma qualche anno dopo si avvertirà l’esigenza di rivedere quel testo con lo scopo di eliminare ciò che in esso era troppo “legato al tempo, ad elementi storici e sociali transitori”, come si legge nella presentazione del nuovo Codice. Si tratta, in sostanza, di togliere riferimenti troppo antiquati, stridenti con una nuova leva infermieristica che non è certo estranea ai fermenti sociali che in quegli anni attraversano non solo il nostro Paese, ma il mondo intero.
Il Codice deontologico del 1977 è un testo sintetico, asciutto, ma non per questo privo di importanti sottolineature: “l’infermiere facilita i rapporti umani e sociali dell’assistito”, “l’infermiere, nel pieno rispetto dei diritti del malato, si avvale dei propri diritti sindacali”, “l’infermiere ha il dovere di qualificare ed aggiornare la sua formazione”. Vi si può leggere in controluce il profilo di una professionista (gli uomini entreranno nella professione solo nel 1971) che non rinuncia certo alla dimensione umana dell’assistenza, ma la arricchisce in una prospettiva sociale, coniugandola con un’affermazione di dignità della categoria che spazia dalle difese sindacali alla necessità dell’aggiornamento tecnico-scientifico.
Questo Codice resterà in uso per molti anni, senza che si ponga nuovamente l’esigenza di rinnovarlo, probabilmente proprio grazie alla caratteristica di estrema sintesi della formulazione.
Un primo intervento, aggiuntivo, si compie nel 1996, quando viene elaborato il Patto tra l’infermiere e il cittadino. Il Patto è uno strumento del tutto innovativo che dà spazio all’esigenza crescente di protagonismo autonomo della professione, rivolgendosi al naturale interlocutore della propria attività. Si tratta di un’autentica scommessa, che inquadra l’assistenza in una dimensione sociale più ampia dei soli limiti delle strutture sanitarie proponendo un “contratto” senza mediazioni tra i veri protagonisti dell’assistenza, cioè proprio l’infermiere e il cittadino.
In linea con il Patto si arriverà poi ad una riscrittura del Codice deontologico infermieristico, presentato in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere il 12 maggio del 1999. Obiettivo del nuovo Codice è quello di indicare le caratteristiche della mission infermieristica in modo da dare spazio alle esigenze di autonomia professionale e fornendo una traccia di riflessione per il quotidiano confronto tra i professionisti e i ritardi della cultura e delle strutture in cui operano.
Il Codice deontologico approvato nel 1999 resterà in vigore fino al 2009.
L’esigenza di ridefinire l’articolato riflette l’evoluzione della professione, che nell’arco di un decennio ha acquisito un’identità finalmente netta e definita nei suoi contorni: l’infermiere non è più “l’operatore sanitario” dotato di un diploma abilitante, ma “il professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica”. Un professionista che, in quanto tale e anche nella sua individualità, assiste la persona e la collettività attraverso l’atto infermieristico inteso come il complesso dei saperi, delle prerogative, delle attività, delle competenze e delle responsabilità dell’infermiere in tutti gli ambiti professionali e nelle diverse situazioni assistenziali.
Da questa significativa svolta ha origine il “nuovo” rapporto infermiere-persona/assistito recepito dal Codice deontologico dell’infermiere 2009.